Consiglio a tutti la visione di questo film sulla storia vera di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace 1991, ritirato solo l'anno scorso dopo anni agli arresti domiciliari per aver difeso i diritti umani e sostenuto la democrazia nel proprio paese, la Birmania.
La vicenda inizia nel 1998, con la scoperta del marito, l'inglese Michael Aris, di essere malato di cancro: purtroppo lui non può raggiungerla, perché il suo visto è stato ritirato e tutti i contatti interrotti (riescono solo a telefonarsi qualche volta prima che la linea venga fatta cadere apposta), mentre lei, se lasciasse la Birmania non verrebbe fatta più rientrare.
In un lungo flashback conosciamo l'infanzia di Suu (interpretata ottimamente dall'attrice Michelle Yeoh, molto somigliante), figlia di un condottiero nazionale molto amato, vediamo la sua iniziale reticenza nel voler scendere in campo in politica quando, ritornata dopo tanto tempo nel suo paese per assistere la madre malata, si accorge della situazione terribile in cui versa la sua gente, oppressa da una dittatura che reprime ogni manifestazione di dissenso nel sangue.
Aung San Suu Kyi inizia a raccogliere consensi e il suo successo cresce sempre di più fino a farle vincere le elezioni con il partito da lei fondato: il Partito Nazionale per la Democrazia. Ma nonostante questo esito schiacciante, lei viene reclusa in casa, tutti i suoi collaboratori imprigionati, e alla famiglia viene vietato di vederla.
È l'inizio di una lunga resistenza.
Suo marito non ha un ruolo affatto secondario nella vicenda, anzi si direbbe addirittura sia stato fondamentale.
Si rimane veramente colpiti dalla figura del marito, che non cede mai nonostante tutte le intimidazioni, i pericoli, le difficoltà e soprattutto la lunghissima assenza della moglie, e continua a sostenerne la causa sino alla fine, perfino anche quando è malato: anzi, è proprio lui a spronarla a non cedere e a buttare all'aria anni e anni di sforzi.
Questo è l'unico momento del film in cui vediamo Aung San, che ha mostrato grande dignità anche in situazioni difficilissime, cedere allo sconforto.
Si dice sempre che dietro ad ogni grande uomo ci sia una grande donna, ma in questo caso è il contrario.
D'altronde in un'altra scena la moglie gli dice che lo capirebbe perfettamente se vorrebbe rifarsi una vita, ma Aris risponde che il motivo per cui la ama di più e per il quale sono così uniti è proprio che condividono gli stessi ideali.
Il film si conclude con la liberazione di Aung San, avvenuta il 13 novembre 2010 dopo ben ventiquattro anni agli arresti domiciliari.
Denominata "Orchidea d'acciaio" (per via dei fiori nei capelli), questa donna forte e minuta è la dimostrazione di quanto si possa ottenere lottando senza la violenza e credendo fermamente nella pace.
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