Racconto breve 3/ La gita al Palazzo Ribisi

Author: Grace /







La gita al Palazzo Ribisi

Scritto per gioco, ispirato ad un sogno







“Che strano sogno ho fatto!” pensò Ada, svegliandosi.
E già, era proprio bizzarro: continuò a pensarci stiracchiandosi, chiedendosi quale fosse la linea di divisione tra strambo e non abbastanza strambo.
Comunque, non aveva più tempo per rimuginarci, dato che doveva andare a scuola.
Scese le scale ed arrivò nella stanza da pranzo: “Ciao mamma!” salutò tutta allegra, mentre la madre le stava preparando la colazione.
“Lo sai che ho fatto un sogno proprio bizzarro?” iniziò a dire sedendosi al tavolo, “Lo vuoi ascoltare?” e giù a raccontare, senza neppure aspettare che rispondesse di si.
Quando Ada ebbe terminato, la madre si mise a ridere.
“Oh, come sarebbe bello se i sogni dei bambini fossero verosimili! Vivremmo in un mondo meraviglioso!” diceva sorridendole dolcemente.
Le mamma le mise una mano sulla testa. “Ti ricordi che oggi devi andare con la classe in gita al Palazzo Ribisi?”, la bambina fece un cenno affermativo, “Vai a prepararti!”.

Ad Ada piacque molto il Palazzo Ribisi. Era alto, grande e bianco, con tante finestre sporgenti e  fregiate, adattissime ad essere cantucci per i colombi (difatti ce n'erano parecchi).
“Chissà in base a quale criterio scelgono il posto più adatto?” si chiedeva tra sé e sé, mentre in fila con gli altri bambini attraversavano il portone, “Forse si scelgono il posto più all'ombra, se lo giocano a morra cinese, o semplicemente cercano di conquistare i posti migliori, a chi arriva prima. Ho visto una scena simile quando sono salita sul treno: tutti quanti si spingevano l'uno con l'altro per prendere il posto migliore...”.
“Ecco la nostra guida!” annunciò la voce squillante della maestra, richiamandola alla realtà.
La guida era un signore alto alto, coi capelli corti e la barba; la sua faccia era di colore grigio, e terminava con un mento appuntito. Aveva un'aria troppo compassata e fredda, ad Ada non piaceva per niente.
Eppure, eppure... le pareva di averlo già visto da qualche parte.
“Vi porto alla prima stanza che visiteremo” disse la guida iniziando a camminare, subito seguito da tutti i bambini e dalla maestra (a scuola era stato spiegato che non avrebbero visitato tutte le stanze del palazzo, ma solo alcune).
Entrarono e... meraviglia! Ada si accorse che la camera era uguale a quella in cui si era trovata nel suo sogno! Aveva una forma quadrata, con il soffitto alto e le pareti bianche – non c'erano dubbi: era esattamente uguale!
A questo punto Ada era troppo meravigliata per mettersi ad ascoltare le spiegazioni della guida, e poi ormai avrete capito che era una bambina a cui piaceva molto perdersi nella propria fantasia.
“Vuoi stare attenta?” la rimproverò la maestra venendole vicino, senza che lei se ne accorgesse neppure, “Ascolta quello che il signore sta dicendo...”.
“No, non mi interessa!” proruppe la bambina a voce alta, senza volerlo. Tutti si voltarono verso di lei; la guida aveva un'espressione alquanto infastidita.
“Mi dispiace” borbottò Ada facendosi piccola piccola, mentre improvvisamente, provando quella stessa sensazione di disagio, si ricordava che anche nel sogno le era accaduto che tutti stavano fermi a fissarla, perché aveva fatto qualcosa che non doveva, “non è vero che non mi interessa, anzi è il contrario! Cioè... volevo dire che non mi interessava a quel modo ma...”.
“Spero che i modi in cui ci interessa siano uguali” disse l'uomo senza neppure guardarla in viso, “altrimenti non c'è bisogno che resti qui”.
“Non mi pare che possano essere uguali... non mi sembra abbia molto senso” disse lei dopo averci riflettuto  un po', “come si fa ad interessarsi in maniera uguale?”.
L'uomo sbuffò, offeso. “Invece si che è possibile: dev'essere uguale per forza” disse, e poi, continuando come se niente fosse: “andiamo avanti con la visita!”.
Ecco: queste erano proprio le parole esatte che l'uomo – ora ne era sicura, era proprio lo stesso – aveva detto nel suo sogno!
Entrarono in una seconda stanza: era arredata con grandi armadi a specchio ed una piccola toeletta. Su una sedia bianca, in un angolo, stava seduto un vecchietto appoggiato con entrambe le mani ad un bastone. La guida disse di non avvicinarsi a lui, perché era appena uscito da un istituto di igiene mentale.
Ancora una volta, Ada si stupì di riconoscere l'ambiente: come aveva fatto nel sogno, si mise a camminare verso un grande armadio a specchio, al quale ne corrispondeva un altro posto sulla parete opposta; via via che camminava, guardando davanti a sé, vedeva la propria immagine diventare sempre più grande, e l'altra immagine di lei di spalle, riflessa dall'altro specchio, che si faceva sempre più piccola. Adesso c'erano due Ada: una che la fissava faccia a faccia, e un'altra di spalle. Ada si divertì a pensare che poteva essere un'altra bambina: oh, quanto avrebbe voluto che si girasse! Magari avrebbero potuto fare conversazione...
Mentre si avvicinava, passò vicino ad un altro armadio a specchio laterale, che in quel momento rifletté la sua immagine. Per un po' ci furono tre Ada. Finalmente si fermò dinanzi allo specchio, e le Ada erano di nuovo due.
“Sta succedendo pari pari come nel sogno!” bisbigliò tra sé e sé.
“Anch'io l'ho sognato” disse il vecchio uomo seduto lì vicino, udendola.
“Davvero?” chiese Ada, sorpresa e un po' emozionata, perché la confortava il fatto che qualcun altro fosse nella stessa strana situazione.
“Ma certo” rispose l'uomo, “se non ricordo male l'ho sognato proprio ieri, di pomeriggio, quando ero sul punto di farmi un pisolino... però mi sto rendendo conto che è tutto identico solo adesso”.
Ada era sempre più contenta: “Anch'io!”, esclamò.
“Ed hai visto il coniglio che prende il tè al grande tavolo della sala da pranzo?” continuò quello, “Ah, è proprio un coniglio beneducato, dall'aspetto signorile!”.
“... Coniglio che prende il tè?” ripeté Ada, per niente convinta.
“Mi ha detto Prego signore, vuole favorire? Ed ha indicato con la zampa guantata un piattino di biscotti: mi guardava con quella sua faccia bislunga, ed io avevo il timore che se mi fossi rifiutato avrebbe potuto...”.
“Queste cose non esistono!” sentenziò la bambina con decisione, andandosene e lasciandolo lì mentre continuava a parlare da solo. Si era pentita di avergli creduto, anche solo per un po'.
“Non voglio perdere tempo, voglio scoprire se la storia procede come nel mio sogno!” pensò, e si avvicinò rapidamente alla toeletta, facendo per aprire un rubinetto.
“Non lo puoi aprire!” la riprese la guida, prima che potesse farlo. Proprio come previsto.
Il gruppetto stava uscendo, ed Ada tornò di corsa a mettersi in fila.
“Adesso, se tutto è davvero uguale” pensò Ada, “entreremo in un grande salone da ballo, e un ragazzo con i capelli ricci e gli occhi scuri mi inviterà a danzare”.
Infatti arrivarono in un ampio salone col pavimento di marmo, a scacchi bianchi e neri.
“E ora diamo il via alle danze!” annunciò compiaciuto la guida. Batté le mani e improvvisamente le luci che illuminavano la stanza divenendo più basse e partì la musica.
Un bel ragazzo con i capelli ricci e gli occhi scuri si avvicinò ad Ada, e senza dire una parola, si offrì come suo cavaliere.
La bambina lo prese per mano, ed iniziarono a girare, girare, girare... o era tutto il resto che roteava? Comunque sia, Ada era troppo contenta, e si godeva questo momento felice; solo che a questo punto il suo sogno si interrompeva, perciò si chiedeva cosa sarebbe successo dopo.
Iniziò a fare alcune ipotesi mentre continuava a ballare: “Se proprio bisogna fare le cose per bene, allora mi piacerebbe che ci fosse un cavallo chiazzato” pensava.
E infatti c'era! Stava entrando nel salone proprio in quel momento! La bambina, in un'apoteosi di felicità, gli salì sulla groppa, ed uscirono fuori in giardino.
Ma il cielo era scuro e tirava un brutto vento, l'atmosfera sembrava annunciare un temporale. Questo non era proprio come Ada se lo immaginava...
Ed ecco... lampi e tuoni, un rumore di vetri che si rompono, e di porte che sbattono... un'apocalisse! Ed il vento si fece sempre più forte! Così forte che Ada fu sbattuta via e cadde per terra, mentre il cielo continuava a rimbombare in una maniera spaventosa...  Sembrava che tutto dovesse venir giù a momenti. Ada era pietrificata dalla paura...

Si svegliò improvvisamente, nel proprio letto.
Dette un'occhiata all'orologio: era ora di andare a scuola. Aveva fatto proprio un sogno strano.
Scese di sotto e trovò la madre che apparecchiava il tavolo per la colazione. Si sedette in silenzio.
“Oggi vai in gita con la classe, non sei contenta?” le chiese la madre.
Fu come se Ada avesse ricevuto uno scossone.
“Mamma, non mi ricordo se...” cominciò a dire la bambina.
“Che intendi dire” la interruppe la madre, “quante volte vuoi andarci?”.









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Alcune note e chiarimenti per il lettore:

ñ     La madre che ride ascoltando lo strano sogno della bambina, è l'adulto disincantato, che ha rinunciato alla fantasia.

ñ     Il dialogo interiore è una costante del racconto. La bambina non lo interrompe neppure nel momento più felice, quando sta ballando col bel ragazzo.

ñ     L'osservazione sui colombi mette in evidenza un certo cinismo in Ada, peraltro tipico dei bambini piccoli, che sono soliti dire quello che pensano senza timore né mezze misure (al contrario dell'ipocrisia alla quale si sono “rassegnati” i grandi). In questa vicenda del treno, le persone tirano fuori il proprio lato bestiale, risultando peggiori degli animali.

ñ     Lo scontro tra la guida ed Ada sottolinea l'ambiguità del linguaggio: la guida interpreta come letterali le parole che Ada pronuncia (“non mi interessava a quel modo”). E sebbene sembri che sia Ada ad avere ragione, in realtà è esattamente il contrario, perché la guida (l'io sognante) non sta facendo altro che avvertirla che “lei non può interessarsi in maniera differente”, dato che è lei che sta sognando: tutto è creato da lei, e lei manovra anche i personaggi.

ñ     Lo specchio ha una doppia valenza: in primo luogo anticipa il concetto del valore effimero del punto di vista, che sarà ripreso poi nel discorso col matto, inoltre la struttura stessa del racconto è speculare. Lo specchio, il tè del coniglio e il pavimento a scacchiera, sono tutti riferimenti ad “Alice nel Paese delle Meraviglie”.

ñ     La conversazione con il matto è l'unico dialogo vero e proprio del racconto, al di fuori di quello interiore di Ada. Egli rappresenta l'irrazionalità, infatti, per quanto Ada sia disposta ad accettare il fatto che il suo sogno si stia svolgendo nella realtà, rifiuta le spiegazioni del vecchio, perché ritenute troppo irrazionali. Allo stesso tempo, sarà in grado di accettare come normali gli eventi, assolutamente assurdi, che si presenteranno dopo. Quindi la situazione presenta un paradosso: la razionalità nel contesto di questo episodio si riduce ad un mero punto di vista, si evidenzia come in realtà sia ognuno di noi a stabilire la soglia tra cosa sia razionale e cosa no (quello che è razionale per il matto non lo è per Ada, e viceversa).

ñ     La guida, che ricorda ad Ada che non può aprire il rubinetto e lavarsi le mani (perché, trattandosi di un sogno l'acqua non c'è veramente) è l'io sognante di Ada, la parte consapevole che sta sognando. Secondo le teorie, il “sogno lucido” sarebbe possibile grazie ad una momentanea sovrapposizione di inconscio e subconscio.

ñ     La conclusione della storia è una non-fine, o meglio un finale aperto. Il lettore può scegliere liberamente come interpretare:

a)      Ada è già andata in gita al Palazzo Ribisi, ma non se lo ricorda. In tal caso il sogno sarebbe perfettamente esplicabile, perché la bambina ha rielaborato dei ricordi di un posto che ha già visto (il cosiddetto “resto diurno” di Freud). La spiegazione è razionale. La domanda della madre è ironica.

b)      Ada non è ancora andata in gita al palazzo, ma deve andarci. Dunque si è immaginata tutto. La spiegazione è razionale. La domanda della madre esprime incomprensione per quello che ha detto la bambina.

c)      È stato solo un sogno (Ada non è mai andata in gita al Palazzo Ribisi). Dunque si è immaginata tutto. Ma dalle parole della madre sembrerebbe che il sogno si sia ripetuto altre volte.


In ogni caso, qualsiasi conclusione si scelga, la struttura della storia rimane circolare: riprendendo dall'inizio, potrebbe ripetersi all'infinito.