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Pensieri su Syd Barrett

Author: Grace / Etichette: ,

Non scriverò un post sulla sua vita. Se la volete, andatevela a leggere su Wikipedia, dove è piena di inutili aneddoti non verificabili, la maggior parte dei quali probabilmente inventati....
Il diamante pazzo e il recluso. Syd e Roger. La leggenda e l'uomo (un suo terzo). I due poli in cui si è divisa la sua esistenza.
Hanno versato un fiume d'inchiostro su di lui, io posso solo aggiungere il mio punto di vista.
Syd era di una bellezza rara: aveva un talento puro, infantile, per certi versi misterioso. Se non lo si conosce, basta ascoltare una sua canzone e vedere il suo sguardo in una foto: lui è tutto lì.
La sua musica è come il canto di un bambino in un cimitero, giocosa e con un'involontaria vena dark.
Per capire ciò che ha prodotto basta fare riferimento alle sue passioni: la pittura e la letteratura per l'infanzia, specie quella di Edward Lear.
L'arte è stata il suo primo vero amore, da lì era partito e lì è ritornato: non ha mai venduto i suoi dipinti, la maggior parte sono rimasti ad amici e familiari. Di sicuro vendendoli avrebbe potuto guadagnare fior di soldi solo per il suo nome... ed è proprio per quello che forse non l'ha fatto.
Lear, i limerick e il nonsense per me sono stati un po' una sorpresa (anche perché io sono una grande amante di Carroll e delle filastrocche) e questa sua passione è indice di un'indole ingenua, bambinesca. La prima canzone, che ha scritto a 16 anni - l'ultima a chiusura della sua carriera - è una filastrocca musicata: Effervescing Elephant.
I testi strampalati, il sound innovativo, il suo senso del ritmo (gli stessi Floyd dicono fosse un vero fenomeno in merito), quel modo particolare di scandire le parole, la sua verve innocua e fantasiosa... sono una visione di Syd da vicino e da lontano allo stesso tempo, una prerogativa solo degli artisti più grandi.
Syd era un poeta a modo suo, ma non come Bob Dylan (che prese bonariamente in giro in Bob Dylan Blues), sono all'opposto, perché Syd non si è mai messo là, sul pulpito a scrivere una canzone su ciò che è giusto o sbagliato o a fare l'artista..
Sicuramente non ha mai pensato neppure lontanamente di essere un poeta, né tantomeno si considerava un genio... era un uomo senza pretese, rovinato da chi ne aveva troppe su di lui. Sarebbe bastato lasciarlo libero e in pace, e forse ce l'avrebbe fatta.
Non si sa con certezza se fosse malato o no, né di cosa: di ricoveri psichiatrici ce ne sono stati, ma c'è anche chi sostiene che la sua malattia mentale non fosse grave. La famiglia ha creato attorno a lui una cortina di fumo che lo ha isolato per trent'anni (sua madre che si è presa cura di lui sino alla fine, allo stesso tempo ha costituito forse uno dei motivi della sua malattia), ma la scelta è partita soprattutto da lui: ha voluto prendere le distanze da ciò che lo aveva consumato.
Quel mondo in cui i suoi ex compagni di band sono andati avanti, raccogliendo ori e onori, mentre Roger - o quello che rimaneva di lui - se ne stava là a lasciarsi scorrere la vita addosso... si è scelto un'esistenza "tranquilla" (non felice di certo) nella sua Cambridge.
Non ha mai voluto rimetter piede in uno studio di registrazione, nonostante gli abbiano offerto cifre stellari, e i più grandi della musica fossero disposti a lavorare con e per lui in qualsiasi condizione.
I Pink Floyd non li ascoltavo già prima, e me ne frega ancor meno adesso. Paragonare i loro album ai due dischi da solista di Barrett non ha senso, perché i Floyd per me sono il talento addomesticato, mentre la musica di Syd è genio che scorre sregolatamente e senza ragion d'essere, come sangue da una vena tagliata. La sua statura artistica è abbagliante, quella della sua ex-band altrettanto enorme e luminosa, certo, ma non "naturalmente abbagliante": il vero diamante che rifletteva tutti i colori era lui, e loro ne sono sempre stati consapevoli...
Probabilmente la sua più grande sfortuna è stata non morire all'improvviso, come è accaduto alle altre grandi icone del rock.
Syd non se l'ha mangiato l'acido, ma la sua fragilità. Non può che rimanermi l'amaro in bocca per la sua vicenda; ora spero stia bene, ovunque egli sia.
A Roger non importava un ficco secco dei suoi fans e di tutti quelli che lo ammiravano.
Noi che di lui alla fine non sappiamo un bel niente e che facciamo parte dell'ingranaggio che all'epoca lo schiacciò. Doveva apparire ironicamente triste, dal suo punto di vista.
Ma io lo amo, dopotutto, è lui continuerà a sopravvivere in quel modo. Ed è giusto così.
Non lasciate soli quelli come Syd.


Ti prego, ti prego solleva una mano
sono solo una persona
i cui cerotti pulsano sui polsi, stretti
Non ti mancherei?
Non ti mancherei per niente?



Roxette

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Non date retta a lastfm che li etichetta come “europop”: i Roxette non hanno quasi nulla a che vedere con gli ABBA, l’altro gruppo musicale più famoso della loro nazione d’origine, la Svezia… a parte forse la capacità di scrivere pezzi straordinariamente orecchiabili.
Il duo, formato da Per Gessle (1959) e Marie Fredrikkson (1958), entrambi sia cantanti che musicisti, ha raggiunto il top della fama negli anni ’80, anche se sono riusciti a mettere a segno qualche hit pure nei decenni successivi; comunque bisogna dargli credito che lungo tutta la carriera, e ancora oggi, non sono mai calati qualitativamente.
Per e Marie, entrambi provenienti da altre esperienze musicali, formarono il gruppo nel 1986, ed inizialmente faticarono ad emergere; il loro nome veniva da una canzone dei Dr.Feelgood. Per era il compositore pop, e Marie, con la sua bellissima voce, era il completamento perfetto della formula. Ma anche Per se la cava discretamente a cantare, infatti è sempre presente nella maggior parte dei pezzi o perlomeno nei cori: in alcuni brani la parte principale è lasciata a lui, in altri a Marie, a seconda del caso.
Forse neppure loro si aspettavano il successo internazionale nel 1988, quando, già dopo essere diventati famosi in patria, coll’album Look Sharp! contenente la loro più grande hit, The Look, sfondarono a sorpresa in tutto il mondo. Merito della loro musica: un misto di pop, rock, ed elettronica energico ed accattivante; ritornelli irresistibili che dopo averli sentiti una volta, è difficile dimenticare...


Il loro secondo brano più famoso è sicuramente la ballad It Must Have Been Love, romantico pezzo che mette in mostra la vocalità di Marie, contenuto nella colonna sonora del film Pretty Woman, ma scritto qualche anno prima.


Negli anni ’90, che si aprono con l’album Joyride, entrambi si sposano e hanno dei figli; passano anche dal nostro paese sia per Sanremo che per il Festvalbar.
Nonostante alti e bassi, i Roxette continuano a pubblicare dischi con cadenza puntuale, sino al 2002, anno in cui Marie Fredrikkson, cadendo nel bagno di casa, batte la testa e riceve la diagnosi di un tumore cerebrale. I danni sono abbastanza gravi, e la parabola dei Roxette sembra destinata a concludersi con amarezza… invece, con determinazione e duro lavoro, Marie riesce pian piano a rimettersi in sesto (nel frattempo il suo compagno, che non riesce a stare lontano dalla musica, si dedica alla carriera solista).
Finalmente nel 2009 arriva la reunion; prima di pubblicare nuovo materiale, però, il gruppo ha una fase di “rodaggio” costituita da esibizioni live: sarà nel 2011, con Charm School, che i Roxette ritornano “in grande spolvero” e si lanciano in un tour mondiale che raccoglie grandi consensi.
Dopo questo tour, entrambi prendono una pausa dedicandosi ai rispettivi progetti.
Recentemente, i Roxette sono stati inseriti nella Music Hall of Fame svedese. Tuttoggi hanno venduto più di 75 milioni di dischi.



Le canzoni del buonumore

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Come forse saprete, la musicoterapia, attraverso l’ascolto di canzoni con ritmi e suoni allegri, secondo valenti studiosi è un ottimo rimedio per stimolare il buon umore, combattere la depressione e lo stress.
Un gruppo di ricercatori della Glasgow Caledonian University, in Gran Bretagna, ha stilato una lista di canzoni interpretata da cantanti di fama internazionale che metterebbero (d’obbligo usare il condizionale) allegria  e aiuterebbero a risollevare il morale:


 Ecco la top ten delle “canzoni del buonumore”:
“Sexual Healing” – Marvin Gaye
“Comfortably Numb” – Pink Floyd
“Last Night a DJ Saved My Life” – Indeep
“Cold Turkey” – John Lennon 
“Healing Hands” – Elton John  
“Wonderful Life” – Black
“More Than A Feeling” – Boston
“Alright” – Supergrass
”What a Wonderful World” – Louis Armstrong
“I Will Survive” – Gloria Gaynor.


…e quelle invece che si farebbe meglio ad evitare.
"Cigarettes and Alcohol" - Oasis;
"The Drugs Don’t Work" -  The Verve;
"Cardiac Arrest" -  Madness;
"Heaven Knows I’m Miserable Now" The Smiths;
"Why Does It Always Rain On Me?" - Travis;
"Insane in the Brain" - Cypress Hill;
"Manic Monday" - The Bangles;
"Leave Me Alone" -  New Order;
"Everybody Hurts" -  Rem;
"Another One Bites the Dust" – Queen



Opinione personale:

Mah... sinceramente non ho idea di quali criteri abbiano adottato per stilare questa classifica! Comunque io sono un'appassionata di musica e la scelta di queste canzoni mi sembra alquanto singolare!
Niente da dire su What A Wonderful World, alla quale mancano solo gli uccellini di sottofondo, e il pezzo della Gaynor potrebbe andar bene, anche se si parla specificamente di ripresa dopo una delusione amorosa... ma la canzone dei Boston? Non mi risulta che mi dia così tanto buonumore, o forse l'hanno associata al fatto che è la sigla del telefilm Scrub???
Per le canzoni negative troviamo invece una gran quantità di musicisti inglesi. Gli Smiths ovviamente non potevano mancare, con la loro fama di band deprimente per eccellenza, ma che c'entrano The Bangles?
Poveracci i REM: Everybody Hurts è una canzone magnifica ed io la adoro, forse sarà anche triste ma allo stesso tempo è incoraggiante. 
Per quanto riguarda i Queen tutto pensavo fuorché che la verve di Freddie Mercury potesse essere deprimente!

n.1: "Vienna" - Ultravox

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Inizia la playlist, un mese per la musica: 28 giorni per 28 canzoni; era una cosa che volevo fare da un po', e probabilmente questa non sarà l'unica edizione. Io ascolto di tutto, e la mia selezione è senza pretese - e anche senza un principio: ci può stare il singolo o la canzone di un album, il pezzo commerciale come quello sconosciuto... non importa, solo quello che mi piace e che mi "passa per le orecchie".
Noterete la mancanza della musica italiana, beh... io ne ascolto pochissima (come sono patriottica).
Come al solito, se vi va, sentitevi liberi di lasciare qualsiasi commento: sono sempre bene accetti.




Questo pezzo non sarebbe stato male cantato da Freddie Mercury...
Conoscevo Midge Ure per Breathe e per il Live Aid, ma gli Ultravox li ho sempre un po' ignorati, anche se da qualche parte, in una compilation sul post-punk, devo avere una loro canzone... 
Poi ho scoperto questo bellissimo pezzo, che dà il titolo all'album che è considerato il loro capolavoro.
Mi piace molto l'atmosfera del brano, così decadente, il modo in cui si apre nel refrain assieme alla voce del cantante, e lo considero uno dei pezzi più belli degli anni '80.
Di belle canzoni sul legame degli artisti con la città ne sono state scritte parecchie (mi viene subito in mente Under The Bridge dei Red Hot Chili Peppers), anche in questo caso il testo si riferisce direttamente a Vienna come se fosse una persona, ed in certe parti sembra che il cantante si stia riferendo ad una donna in carne ossa... penso che il testo parli di entrambi, ma alla fine è come se il cantante fosse fedele alla città, e riconoscesse che i suoi sentimenti per Vienna sono i più veri.

Playlist: una canzone al giorno

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Per tutto il mese di febbraio,

una canzone al giorno


Origa

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Ho scoperto per caso questa artista grazie alla colonna sonora dell’anime Ghost In The Shell: Stand Alone Complex, del quale Origa canta tutte e tre le sigle d'apertura, composte da Yoko Kanno (Inner Universe, Rise e Player).
Sono pezzi abbastanza ritmati e rock, anche se prevalentemente elettronici, che escono un po’ fuori dalla linea musicale in cui s’inquadra questa cantante: per lo più la si può accostare ad Enya, ad un genere dal sapore new age/elettronico, anche se nei suoi ultimi lavori, tipo Aurora e Amon Ra, le canzoni hanno preso più una piega pop-rock.
Origa è un'artista atipica: canta in russo ma è famosa in Giappone, ed è praticamente misconosciuta in tutti gli altri paesi, Italia compresa (noi poveri mortali non avremo mai la fortuna di un suo concerto, a meno che non venga nell'ambito di qualche festival manga/anime, di cui è assiduamente ospite, per via delle sigle di cui prima).
Il repertorio di Origa, composto da circa dieci album (più alcuni mini-album) a partire dal 1991, sperimenta e spazia tra vari generi musicali. Con la voce che si ritrova, ciò non sorprende.
Vocalmente mi ha subito ricordato Antonella Ruggiero, per lo stile e la grazia nel cantare,  l’estensione vocale e la grande abilità: ci sono poche cantanti che possono essere definite “divine”, e di certo non mi riferisco a Laura Pausini, alla quale questo aggettivo viene impropriamente appioppato!
Origa è un’Artista vera, e sebbene credo sia un pelino sotto la Ruggiero, soprattutto riguardo alla potenza vocale, è assolutamente mostruosa se presa dal punto di vista della precisione e dell’intonazione.
Poche artiste possono vantare la sua bravura: i fraseggi sono perfetti e naturali, ed è precisa e a suo agio sia nel tenere le note basse che negli acuti… in poche parole, come ho già detto è molto brava.
È un peccato che sia così poco famosa (io ho scaricato tutta la sua discografia, ma finora ne ho ascoltato solo la seconda parte. Se siete interessati ai link, lasciate un commento).


I dischi dai quali iniziare per conoscerla sono il suo best of (The best of Origa, del 1999) ed Era of Queens (2003). Quest’ultimo è un lavoro abbastanza curioso che si muove attraverso tre lingue: russo, inglese e… italiano dantesco!
Ebbene si, in alcuni pezzi, tipo Tersicore o Queste Saranno, ci sono delle curiose frasi in un italiano impreciso: inizialmente ho pensato che si trattasse di versi di poesie, ma ricercando non ho trovato nulla, perciò alla fine penso che l’artista abbia scelto le parole italiane semplicemente per la loro musicalità e il loro suono chiaro (anche se non escludo che in effetti si tratti volutamente di stilnovo).
Poco importa, perché i brani sono molto belli: a dir la verità le liriche e la forma-canzone vera e propria sono limitate,  perché la protagonista è la vocalità di Origa che “gioca” agilmente sulle melodie.
A giudicare dai titoli sembra un disco dedicato alle donne:  Diva, Elektra’s Song, Tersicore, o la stessa titletrack…
Si tratta di dieci brani, dei quali due (Overture e Moment) solo strumentali: non me la sento di segnalarvene qualcuno in particolare, perché sono tutti belli, ma di certo Queste Saranno, Serenata e Diva spiccano tra gli altri…
I generi di questo lavoro sono: elettronica molto leggera, new age e pop.
Riguardo ai suoi ultimi due lavori, usciti praticamente in contemporanea nel 2013, Amon Ra e The Annulet, purtroppo non posso esprimere lo stesso parere positivo... comunque in entrambi i dischi i pezzi sono tutti in russo, ed i cinque di The Annulet sono canzoni tradizionali del folklore russo, mentre Amon Ra è più pop.
In linea di massima nel repertorio di Origa il russo e il giapponese sono le lingue principali. Origa non è la prima cantante russa che ascolto, e trovo il russo una lingua bella, in certe cose simile all’italiano, molto più musicale rispetto a, tipo, il tedesco (poco musicale, duro) o l’inglese (freddo). Non vorrei essere di parte, però credo che la nostra lingua sia imbattibile in quanto a bellezza e varietà, ed il canto ne sottolinea l’apertura delle vocali e la chiarezza della pronuncia…
Ritornando ad Origa, musicalmente mi ricorda anche Kate Bush, Bjork e Mike Oldfield (soprattutto Ommadawn o Incantations…) ma più che altro ritengo che un’artista come lei, abbia solo bisogno di belle canzoni da cantare.
Vi riporto di seguito la sua DISCOGRAFIA principale (tenete conto che la pagina di wikipedia italiana non è aggiornata, e purtroppo sul web esistono pochissime fonti dove trovare informazioni su Origa, trattandosi di un'artista di nicchia) questi sono i titoli esatti, non quelli riportati sulle varie pagine di wikipedia :

The Annulet (2013)


Amon Ra (2013)


The Songwreath (2008)


Aurora (2005)


Era of Queens (2003)


The Best of Origa (1999)


Eternity (1998)


From The Town of Lyre (1996)


Illusia (1995)


Origa (1994)



BIOGRAFIA IN BREVE
Origa, vero nome Olga Yakovleva, è nata il 12/10/1970 in Russia.
Inzia a studiare musica a cinque anni, instradata dai genitori che riconoscono il suo grande potenziale, e a undici viene invitata a partecipare ad un programma televisivo a cantare una canzone scritta da lei stessa.
Dal 1986 al 1990 studia musica al Novosibirsk Musical College, nel frattempo partecipa a vari festival e competizioni e perfeziona il suo stile canoro.
Nel dicembre del 1990 sbarca in Giappone per tre mesi, grazie ad un programma di interscambio culturale, facendo da ambasciatrice della musica della sua nazione, e firma con la ROAD & SKY Company, grazie alla quale pubblicherà il suo primo album nel 1994, Origa, nel quale è sia interprete che compositrice.
Sino al 1999 i suoi lavori saranno improntati sul genere new age, poi, dopo collaborazioni varie e la maternità, arriva la vera e propria svolta nel 2003 con la collaborazione con Yoko Kanno per Ghost In The Shell, grazie alla quale non solo l'artista ottiene finalmente una maggiore e meritata visibilità, ma capisce anche che è in grado di tenere da sola le redini della propria musica.
Così Origa cambia genere musicale, virando verso l'elettronica, e pubblica nello stesso anno il bellissimo Era of Queens, iniziando a produrre le proprie canzoni in maniera indipendente.
Da allora, oltre alla pubblicazione dei propri dischi, Origa è attivamente impegnata nel prestare la sua magnifica voce in vari progetti di altri artisti.





Per ora è tutto; in futuro credo ritornerò sicuramente a parlare di questa artista....


Trucchi da star: ovvero il trucco maschile nella musica

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Scorrendo questa breve lista (che non pretende di essere esaustiva) possiamo bene o male dividere gli artisti che si truccano in due categorie: quelli che lo fanno per teatralità e coloro che lo fanno per crearsi un'immagine androgina. Naturalmente nella maggior parte dei casi c'è un miscuglio delle due, senza contare quelli che si truccano "per sport", ovvero semplicemente perché gli piace...
Da notare come il make up maschile nell'ambiente musicale sia trasversale a tutti gli stili e si riproponga in ogni decennio.


Non si può non iniziare da David Bowie, difatti se non è stato lui l'inventore del glam, di certo ne è stato l'icona più potente negli anni '70 col suo Ziggy Stardust: per il camaleontico artista, il make up fa semplicemente parte del personaggio che sta interpretando in quel momento, e se non rientra nella sua prossima trasformazione è pronto ad abbandonarlo. 
GALLERY
In quel decennio il glam-rock - movimento che si esaurirà in poco più di 5 anni e che si divide in una frangia più commerciale e kitsch e un'altra più sofisticata ed intellettuale - è sicuramente il genere musicale che più si lega al make up: l'aspetto visivo è estremamente importante per quei musicisti, a cui piace giocare con i ruoli ed esibirsi supertruccati e in abiti attillati. Una citazione la meritano sicuramente pure Alice Cooper (che con l'immagine e i macabri teatrini on stage influenzerà in futuro Manson), il quale si trucca in stile horror al fine di shockare e ripugnare, e i mitici Kiss, rimasti praticamente identici.



Nessun caso come quello dei Kiss è emblematico per capire quanta parte possa avere l'immagine nella creazione di un mito: eccetto un breve periodo in cui abbandonarono le loro maschere - perché è di questo che si tratta: interpretano dei personaggi - sono rimasti gli unici ad aver mantenuto uguale la loro immagine sin dall'inizio della loro carriera (cosa più unica che rara), e credo che oggi chiunque vada ai loro show, lo faccia, oltre che per la musica, anche per vederli nei loro costumi.
Negli anni '80 si assiste ad un repentino cambiamento: anche il make up diventa mainstream, ed esplode tra gli artisti pop a tutti i livelli. Non è più, quindi, appannaggio di certi generi alternativi, perché bene o male tutti lo sfoggiano.
L'icona è Boy George, il suo aspetto delicato e vulnerabile, sottolineato dal make up, lo fa assomigliare ad una ragazza. 
GALLERY
Ora magari può essere scontato, ma all'epoca la scena gay non era ancora emersa, ed esporsi in maniera così plateale come faceva Boy George è stato quasi rivoluzionario: lui stesso nelle interviste ha più volte ammesso il coraggio che c'è voluto per farlo, perché allora si potevano correre dei rischi.



Negli anni '80 non è necessario essere omosessuali per truccarsi, anzi: la maggior parte dei musicisti lo fa per semplice hobby. Nick Rhodes dei Duran Duran, allora amatissimo dalle fans, vuole sembrare deliberatamente effeminato, mentre Martin Gore dei Depeche Mode gioca sui contrasti: Mi piace la combinazione anti-macho di una giacca e dei pantaloni con degli abiti da donna. Disorienta la gente.
Da fresca fan di Martin e dei depeche, non me la sono sentita di esimermi dal postare questo video in cui Martin si esibisce in "Surrender" truccandosi e mettendosi il mascara con un'abilità da far invidia:


Un altro che andava forte era Adam Ant, famoso perché si presentava sul palco con l'eyeliner e vestito da pirata. Ho scoperto da poco questo artista, più che altro conosciuto per "Stand & Deliver" e "Goody Two Shoes", ed ho voluto dedicargli una piccola gallery perché, oltre ad essere davvero bellissimo, ha una storia particolare che parte dal punk del '77 sino ad arrivare al pop; è un artista sincero, con una personalità fragile e ultimamente è riuscito ad uscire dal disturbo bipolare di cui soffriva.
Tra l'altro, vedendo le sue foto attuali, ha una somiglianza spaventosa con Johnny Depp (a parte che sto iniziando a pensare che Depp gli debba qualcosa per Jack Sparrow...).
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Menzione a parte per Robert Smith dei Cure, con rossetto e occhi perennemente cerchiati di nero (tuttora), un mito dark. Per gli amanti del gothic, l'estetica ha una parte fondamentale più che per gli amanti di tutti gli altri generi musicali, il comun denominatore è la teatralità, e il più delle volte una certa ricercatezza. Lo stile visivo dei goth si declina in un'ampia varietà di sottogeneri in base all'ispirazione, che può andare dal cinema al fetish, alla storia della moda, agli altri generi musicali come il punk o il glam da cui è derivato, alla letteratura... ecco perché trovo che lo stile goth sia più evoluto ed interessante rispetto agli altri.


Negli anni '90 il make up sembra fuori moda... per fortuna c'è Brian Molko dei Placebo, che ispirandosi al suo idolo Bowie, riporta in auge l'ambiguità sessuale. Brian ha dichiarato: Non è una recita, non è un personaggio quello che sale sul palco. Mi devo esprimere in qualche modo e lo faccio con i miei travestimenti, il mio make-up, il look esagerato. Lo curo molto perché fa parte della mia natura.GALLERY
 

David Bowie non sbaglia a dire che i Placebo sono una grande band: sinora, tra tutti i concerti a cui ho assistito, i Placebo sono stati un gradino più su, anche di certe band blasonate con decenni alle spalle (ma quel giorno, Mollo non era truccato, purtroppo!).
Ma soprattutto, nei '90 ecco arrivare lui, "l'anticristo" Marilyn Manson, maestro in provocazione. Senza ombra di dubbio posso affermare che, in questa lista, Manson sia quello con l'immagine più curata, secondo solo a Bowie.
Bisogna guardare oltre il polverone che l'artista si porta continuamente appresso, e che tra l'altro è voluto e creato ad hoc da lui stesso: ho sempre trovato interessante come Manson sia in realtà un uomo davvero intelligente, con uno spiccato gusto nel vestire, e a suo modo molto elegante, anche se questo può suonare paradossale. Anche lui, come Bowie, ha creato e cura la sua immagine da solo, e sebbene per molti anni io sia stata indecisa su che opinione avere su di lui, perché è uno alquanto ambiguo, alla fine penso che al di là delle cose che ha prodotto musicalmente - alcune buone e altre meno - almeno visivamente si è guadagnato il proprio posto nella storia della musica. Un'altra differenza con gli altri nomi di questa lista è che Marylin Manson non cambierà di una virgola il proprio personaggio in futuro, perché fa parte della sua idea artistica. Certo, oggi non shocka più come agli inizi: oggi in giro c'è gente come Lady Gaga.
Dichiarato estimatore dei Kiss ed in generale del periodo glam ha detto: La differenza tra me e loro è che finito lo show loro si toglievano il trucco e tornavano ad essere persone "normali". Io no. Marilyn Manson è me stesso, e non posso smettere di essere me stesso [...] Il glam rock è il vero rock'n' roll. Sono sempre stato molto scettico nei confronti della faccenda del grunge. Il grunge è stata tutta questione di uccidere lo starsystem, uccidere gli idoli, uccidere l'aura di fascino che gli si creava intorno: tutto ciò che aveva reso il rock'n'roll quello che era, ovvero una cosa enorme e meravigliosa, doveva essere ucciso. Che cosa stupida. A mio modo di vedere il grunge è stato un periodo piuttosto sterile.
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Uno che di truccarsi non avrebbe bisogno, perché è già uno dei cantanti più sexy del mondo, è Ville Valo degli HIM... È un peccato che il loro ultimo lavoro non fosse un granché e che Ville sia apparso spaventosamente dimagrito, speriamo che si riprenda.


Nei primi anni del 2000 il make-up colora uno degli ultimi generi musicali che non aveva ancora colonizzato: il punk-rock. Billie Joe dei Green Day e i suoi occhi perennemente bistrati di nero avranno più influenza di quanto si voglia pensare: è l'emblema dell'artista che non si trucca per risultare ambiguo o per richiamarsi a qualcosa... è come se il trucco maschile non sia più distintivo come era una volta, e molte band in bilico tra il pop e il rock, dai Good Charlotte ai 30 seconds to Mars, lo adottano.
Dei tre Green Day l'unico a non truccarsi è Mike, perché anche il batterista Trè Cool ama usare matita, e spesso anche ombretto.
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Nel 2007 le più giovani impazziscono per i Tokio Hotel e per Bill Kaulitz e la sua immagine quasi femminile: trucco marcato, chili di lacca sui capelli e smalto nero con french manicure sulle unghie. Il suo aspetto ambiguo è ben studiato ed è originale, in qualche modo si rifà al glam, e colpisce nel segno.
All'epoca il frontman non si vergognava ad ammettere di spendere migliaia di euro in prodotti per capelli, e ai giornalisti che cercavano di imbarazzarlo chiedendogli quanto tempo ci mettesse a prepararsi rispondeva: In quaranta minuti mi faccio la doccia, mi vesto e acconcio i capelli con la lacca [...] Durante i concerti vedo molti ragazzi con gli smoky eyes e con lo smalto nero, e questo mi inorgoglisce. Il mio trucco poi è molto semplice: eyeliner e kajal. 


Semplice forse no, comunque dal punto di vista del trucco, i Tokio Hotel sono l'acme di una parabola che ormai si è sdoganata in tutti i settori, e che probabilmente in futuro si arricchirà di nuovi capitoli.
Tutto qua? No, perché ad essere onesti da anni il trucco, i costumi e l'eccentricità, sono al centro di una scena musicale che qui da noi non è ancora approdata completamente (ma sono sicura che succederà): quella giapponese. Gli artisti giapponesi curano in maniera maniacale la propria immagine, e c'è persino una corrente, il visual kei, che ruota completamente attorno a questo aspetto.
Loro, come sempre, un passo avanti di noi.